Il nuovo tempo dei senza-corpi

Dopo due settimane di clausura siamo individualmente coinvolti dall’invasione dei senza-corpi. Sono i corpi che non vediamo più, guardando fuori. Li abbiamo interiorizzati, li immaginiamo mentre riempiono le strade, prendono l’autobus, giocano nei parchi ora vuoti. Abbiamo s-corporato la socialità dei corpi dal nostro quotidiano, relegandola all’immaginazione, l’abbiamo messa tra parentesi (parenti compresi), stipandola dentro i nostri telefonini e nei nostri pc.

I senza-corpi siamo anche noi per i nostri cari e i nostri cari per noi. Temporaneamente distanti e in un altro modo, forse, più vicini.

Ora noi, corpi senza-corpi, siamo in un tempo sospeso e questa cosa del virus ci sta rendendo più riflessivi, introspettivi e – perché no – più impegnati come soggetti politici, nel senso di interpreti attivi del nostro tempo. Schierati, preoccupati e assertivi verso il Politico, siamo tutti coinvolti in una neo-orizzontalità che poco ha del virtuale perché connessa non da un effimero desiderio di allargare la percezione, ma intrecciata all’Altro da un rischio comune che riguarda la nostra vita, i nostri corpi.

Se penso ad alcuni miei amici, frequentatori poco assidui dei social, noto un cambio di registro. Prima della pandemia postavano giri in bici, foto di gite in montagna e foto dei piatti consumati al ristorante: ora linkano e commentano gli interventi di esperti di geopolitica, sociologia, psicoanalisi, epidemiologia, e di politica ambientale. Oppure, e questa è per me una bella sorpresa, essi stessi scrivono lunghi post con analisi e narrazioni (più o meno romanzata) del loro quotidiano. E scrivono non solo bene, ma anche cose a volte molto più interessanti di quelle postate dagli addetti ai lavori. Insomma si esprimono, uscendo allo scoperto (mi raccomando, non all’aperto…).

Poi invece, ci sono alcuni degli addetti ai lavori (gli opinionisti), quei pochi esperti che ti ritrovi tra le tue “amicizie” che cominciano – forse tra la scrittura di un elzeviro e un’intervista – a postare il pane fatto in casa, le foto delle piante che cominciano a fiorire con l’arrivo della primavera sui loro balconi, i disegni dei loro bimbi e magari i secchi con il detersivo con i quali detergono i loro appartamenti.

Gli “intellettuali”, quelli che mai avremmo osato contraddire nel loro esprimersi da esperti, acquistano improvvisamente una certa corporeità familiare e i loro post non li noti quasi più, mischiati e contaminati come sono con quelli abituali e sempre presenti di noi, not-influencer-people. Meno snob, più normal people i vip dell’opinione aprono le loro casa agli italiani.

La paura e la noia, sottoprodotto del covid-19, pare stiano operando in qualche modo per un cambiamento del legame comunitario (una comunità più sociale di quella social a cui siamo stati abituati sinora) e chissà che questo non sposti piano piano qualcosa; chissà che non salti quello schema interiorizzato dai più, che ci ha assuefatti ad un certo timore reverenziale verso il “campo intellettuale” e verso la nostra capacità personale di elaborare riflessioni sulla complessità di questi tempi. Quel terreno desertificato dall’evitamento della dialettica sociale ( o rimozione?), topos ideale per il potere costituito/istituito, indifferente alla voce di coloro il cui tempo per la riflessione e l’impegno politico spesso è negato e annegato in una quotidianità mangiata da lavori invasivi, pervasivi (tossici) che allontanano molti di noi dal dibattito pubblico. Una quotidianità dove il tempo per il pensiero per l’Altro viene semplicemente rubato, mercificato o denigrato. Una quotidianità dove non siamo nella condizione di essere padroni nemmeno del nostro pensiero.

Dunque, oggi, siamo in presenza tutti di un tempo forzatamente e/o finalmente liberato in cui qualcuno c’è, è presente, è lì da qualche parte disponibile con il suo di tempo liberato ad ascoltarti e a dibattere su qualcosa che ci riguarda: tutti. Qualcosa che ci lega e che ha e avrà forse nel futuro prossimo una valenza politica rilevante e rivelante. Facciamocene qualcosa (porcovirus!).

Pubblicato da Paolo Patuelli

Sociologo Clinico, Counselor ad Orientamento Psicoanalitico, professore a contratto

3 pensieri riguardo “Il nuovo tempo dei senza-corpi

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