La guerra, le opinioni, le raccomandazioni

“Occorre essere attenti e scegliersi la parte dietro la Linea Gotica” (CSI)

Le immagini sovrastano le parole, le rendono deboli a fronte dell’immediatezza visiva che lascia senza fiato. Senza parole. La sovrapposizione dei corpi morti fissati nei fotogrammi con la rappresentazione del nostro corpo vivo (il nostro corpo pensato da noi) che il cervello compie è alimento all’impotenza e non più elemento che spinge alla ribellione dei corpi stessi per divenire corpo politico avverso al potere che ha deciso per la morte, con la guerra. E’ la sovraesposizione alla riproduzione mediatica della realtà a condurci all’impotenza: è la sovraesposizione alla realtà mediata a condurci a riprodurre le stesse reazioni impotenti senza rotture, conflitto e cambiamento. Pacificati nel riflesso dello schermo televisivo viviamo il presente del corpo e della mente nell’inedia da totale e prolungata mancanza di alimento politico. Così la visione ridondante e ripetuta della morte altrui esposta dai teleschermi inquadra, come fissata in un fotogramma, la nostra vita nella ripetizione, nell’inerzia e nell’impotenza. La guerra vera contro la guerra immaginata. Emerge così, non la sublimazione di quanto accade in analisi che poi irrompono nella piazza e si fanno pratica politica, ma chiacchiera che diventa intrattenimento, fissità nella narrazione mediatica La morte altrui sbattuta sulle prime pagine dei giornali e nei tg non genera più reazioni (umane) contro chi nella storia ha sempre alimentato la paura della morte come elemento generatore del proprio dominio. Non ci chiediamo più chi è responsabile di usare discorsivamente la morte – e tutti i significanti che essa richiama – agitandola come conseguenza della nostra non adesione al progetto che costui ci propone: non ci si chiede più chi è che comanda con la morte e la minaccia sulle nostre vite. Ci sentiamo al sicuro, perché ci pensiamo ben amministrati e non comandati da un potere minaccioso e mortifero. Pensiamo di autodeterminarci, mentre in realtà riproduciamo automatismi, ripetiamo una quotidianità rassicurante, amministrando la proprietà di noi stessi così come farebbe un buon funzionario pubblico o un onesto impiegato di banca. Ma questo non elimina la questione del comando, semplicemente la sposta altrove, finché non riemerge con la morte dell’altro. Quanto accaduto con la pandemia ha mostrato che alla minaccia della morte per malattia si apre uno scenario che prevede paranoia e ipocondria. Per molti aspetti quanto accade con la guerra non è dissimile a quanto ci è stato proposto nella narrazione della pandemia: non a caso si è utilizzato spesso il linguaggio bellico per parlarne. Ma ora emerge con il conflitto in Ucraina un elemento di distinzione e alla paranoia (vogliono farmi fuori!) si affianca la dilatazione della questione dell’identificazione come luogo (logos) dal quale difendere la nostra posizione nel mondo. Dall’amministrazione della quotidianità, che ci fa apprezzare mediocri burocrati come politici di alto livello, spunta il reale del potere che fa come ha sempre fatto: minaccia le nostre esistenze (privilegiate per noi e precarie per chi sta sotto le bombe), i nostri progetti per il futuro. Irrompe oltre i nostri confini, minacciando qui le nostre proprietà – quella privata, quella sociale e quella del nostro sé (Castel, 2001) – e là (e non solo in Ucraina, ma ovunque c’è una guerra in corso) i corpi esposti alla possibilità di essere uccisi.

Ma il mortifero, la possibilità di essere minacciati di morte da chi comanda, c’è sempre stato. Rimosso, ritorna sulla scena presentando i suoi pezzi di artiglieria pesante, quando fino a poco tempo fa se ne stava tranquillo in giacca e cravatta, senza divisa, tenendo – cito Daniele Silvestri – “nella fondina le carte Visa”.

In “Essi vivono”, un film di John Carpenter del 1988, il protagonista (un hobo, attento a come gira il mondo) vaga per la città e comincia a vedere negli altri, come fosse dotato di un potere sovraumano, la morte che li abita. Questi “altri” che sono impiegati di banca, negozianti, gente comune impegnata nella quotidiana lotta di esistere dentro le regole perverse di una metropoli americana, sono inconsapevolmente uniti dal mortifero che rigenerano attraverso il loro vivere ripetendo gli automatismi di cui necessita il capitale per autoriprodursi. La socialità e l’economia che portano sulla scena combaciano: la faccia sorridente dell’impiegato contiene il cadavere zombizzato che lo governa.

Così, come afferma Gunther Anders (Anders, 1961), noi tutti procediamo nella grande impresa di sostenere l’insostenibile arrivando anche a giustificare Hiroshima come atto necessario alla pace. Perché, apres coup. là dove la rimozione della morte ha ripreso vita (la minaccia nucleare, che nega la possibilità di pensare razionalmente ad un uso civile dell’energia nucleare), abbiamo vinto il biglietto per un futuro di progresso e affermazione individuale. O meglio: l’Occidente (ma che cos’è?) ha vinto questo biglietto per il progresso.

Oggi, grazie all’aver archiviato la questione della morte dell’altro nella narrazione da fiction e nell’intrattenimento televisivo, possiamo ammirare distrattamente il biglietto vincente, seppur logoro e sporco di sangue, da un divano che non è esattamente lo stesso di Freud. Un divano che si è dilatato dentro ad un sociale rovesciato, depoliticizzato, all’interno del quale regna un legame senza cura perché nella ricerca spasmodica di un utile non ascolta e non vede se non intravede nell’altro qualcosa da sottrargli. Ma il mortifero che si manifesta nella guerra, quella vera, ci sta mostrando che chi comanda è disposto ad un atto estremo per continuare a ripetere l’esistente e per continuare a comandare. Riproponendo lo schema che ci vede lì, seduti sul divano con telecomandi e joystick, pronti a sparare la cazzata sul twit di qualche ministro (ma a chi lo stiamo dicendo?) o silenziosamente concentrati a sparare sullo schermo della Play all’omino vestito da terrorista di Al Quaeda che corre tra le rovine di Baghdad, continuiamo ad amministrare quel che resta di noi.

Pubblicato da Paolo Patuelli

Sociologo Clinico, Counselor ad Orientamento Psicoanalitico

2 pensieri riguardo “La guerra, le opinioni, le raccomandazioni

  1. È vero il politico ha perso ogni rappresentanza e rappresentazione, ma quelle esistenti sono inadeguate, complottistiche, vecchie. Dobbiamo trovare altre strade, che incorporino la modernità, lo spirito dei tempi. Come in questo film

    Piace a 1 persona

    1. Quelle esistenti sono inesistenti… sul piano politico.
      Comunque il tema che volevo mettere in evidenza è più la questione della rimozione della morte, che sì ha a che fare con la depoliticizzazione del sociale. Ciao Vit

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