Il ritorno dell’ideologia

Fase 2: ritornare all’ideologia.

In questi giorni hanno asportato la cistifellea ad un mio amico. Descrivendomi l’operazione mi dice che ci sono state complicazioni dovute al fatto che la sua cistifellea era da parecchio che non svolgeva il suo mestiere e se ne stava lì, nella pancia del mio amico, senza far niente se non tentare di mandare in malora gli organi limitrofi.

Ecco, le ideologie in questi ultimi tre decenni (dopo la caduta del muro di Berlino) evidentemente hanno lavorato come la cistifellea del mio amico: se ne sono state lì, dentro la nostra grossa pancia democratica, in attesa che qualcuno le riportasse in superficie. Il tempo buono per farle venire alla luce è forse questo: la fase 2.

Terminato l’isolamento, pazientando di fronte alle argomentazioni più o meno scientifiche degli addetti alle emergenze sanitarie, entriamo ora con la schiena rotta (così come altre parti del corpo) nella fase della normalizzazione dell’emergenza. E la normalizzazione – attenzione! – non è la normalità: è un suo surrogato che prevede una regia che, definendo, sorvegliando e punendo, stabilisce per tutti ciò che è normale e ciò che sta al di fuori di questa normalità. Questa normalizzazione può prodursi con facilità quando chi vi è sottoposto è ancorato alle solite buone e vecchie ideologie. Oggi indossabili anche in versione 4.0.

La battaglia per le idee, in assenza dei corpi e spostata nel web, non fa male a nessuno. Va bene per questa fase 2.

Propongo due ideologie alle quali ci viene chiesto di aderire.

Una prima ideologia che, a mio parere, rientra in scena è quella corporativa. In Italia siamo i campioni di corporativismo (fatto di gruppi di interesse, di ordini professionali, di lavoratori pubblici contro privati, ecc….), quindi non poteva che esserci un ritorno in auge della difesa ideologica della propria categoria. E nel momento in cui una categoria si sente minacciata da un possibile disconoscimento di uno Stato che prova a riaffermare la sua sovranità distribuendo risorse a pioggia per fare ripartire i tanti settori dell’economia, si alzano gli scudi con gli stemmi della propria casata e si comincia a sgomitare per mettersi in prima fila. La difesa del proprio orticello offre l’occasione a chi governa di evitare lo sforzo di ragionare e proporre interventi di sistema e una vera programmazione (innovativa). E quindi ecco pronta la sua risposta facile: un po’ ai commercianti, un po’ ai liberi professionisti, un po’ (troppo) ai grandi industriali e via dicendo. Un po’ per uno non fa male a nessuno.

A seguire, in forte crescita grazie al virus, prende piede – occupando la scena – un’ideologia più difficile da criticare: quella sanitaria. Lasciati alle spalle i bei tempi della “sanità migliore del mondo”, abbiamo scoperto le falle del sistema (assenza di medicina di comunità, azzeramento degli interventi domiciliari, carenza di personale, mancanza di protocolli per le situazioni epidemiche). Invece di trattare – per ritornare ai vertici della classifica – il tema della ri-organizzazione del sistema sanitario (che non si limita a quello dell’assunzione di personale…), il potere statale con la complicità dei media ha prodotto la retorica dell’eroe in corsia, riportando alla luce un’ideologia sanitaria che, sovrapponendo la clinica (il gesto del medico) alla gestione ospedaliera, si fa metafora del Bene, confondendo ciò che è nel discorso della salute come diritto individuale con ciò che è nell’alveo dell’organizzazione burocratica del sistema sanitario. E così, grazie allo spostamento del tema al piano ideale, si può evitare di tornare a parlare di riapertura di strutture improvvidamente chiuse, di posti letto dimezzati e di avvio di una discussione per riprogettare una sanità che di fronte a emergenze come il coronavirus non vada così in sofferenza. Temi politicamente scottanti che poco si sposano con l’ideologia. Meglio celebrare l’esistente e gratificare con bonus.

Nell’attualità dell’imposto per ragioni superiori, c’è solo lo spazio casuale – che le piazze rimangano vuote e si rispetti il distanziamento! – dove la dialettica politica è impossibile a darsi perché, perennemente in fila al supermercato (e ora anche in fila per il caffè al bar), non possiamo che utilizzare quel poco tempo di assembramento distanziato che ci è concesso per perderci in battibecchi ideologici che lasciano il tempo che trovano.

Disintossicati dalla numerologia epidemiologica, sarà la numerologia dei big data a sostituirsi ad essa nel compito di normalizzare il Reale affinché, quanto emerso drammaticamente in questo periodo, non si solidifichi in richieste che possano presentare una consistenza materiale diventando così istanza politica. D’altronde, trasportare le richieste di cambiamento dentro ad un dibattito ideologico (che si nutre di tante ideologie, non solo dei due esempi che ho portato qui), permette a tutti noi di evitare di cogliere soggettivamente quell’occasione che il virus ci ha offerto di aprire gli occhi sulla complicità che abbiamo dato singolarmente affinché si creasse quel vuoto politico all’interno del quale si è insediato un governo tecnocratico, o meglio una espertocrazia. Per quanto visto sino ad ora, pare che questa espertocrazia stia lavorando per costruire una “immunità di gregge” affinché i cittadini non si occupino più di politica attiva. Questa operazione di immunizzazione (una sorta di affermazione dell’interesse particolare come atteggiamento etico verso la cosa pubblica) consente al governo di eludere il compito di affrontare la situazione con provvedimenti che segnino una svolta verso un sistema più solidale ed equo per tutti, penalizzando finalmente i privilegi di pochi. Che sia così? Attendiamo sviluppi.

Pubblicato da Paolo Patuelli

Sociologo Clinico, Counselor ad Orientamento Psicoanalitico

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