I nuovi censori e Gian Butturini

La Rete, immenso padiglione fieristico per espositori organizzati e/o solitari, sta generando nuovi mestieri. O meglio, nuove occupazioni più o meno economicamente remunerate. Se i soldi non arrivano, queste occupazioni rappresentano di certo una fonte di godimento individuale per il riconoscimento ampio che possono ricevere raccogliendo migliaia di like sui social.

Nell’ipercomunicazione nella quale siamo immersi, spunta così – oltre all’influencer alla “Ferragni” – la figura del nuovo censore. Lo stand che ha scelto di allestire nella fiera delle vanità online occupa un settore di mercato definito con i termini british: cancel culture e online shaming. Occupandosi di censura e diffamazione in rete, il nuovo censore può ambire a sfamarsi con questo mestiere costruendosi una rispettabilità nel mondo perverso e rovesciato dei social usando come strumento di lavoro la dirittura morale contenuta nelle sue segnalazioni e nelle sue campagne. Il suo lavoro aiuta gli internauti – presi (ma veramente?) da mille cose da fare e distratti dai tanti stimoli che la Rete ci propone – a schierarsi dalla parte dei giusti. Il nuovo censore, un po’ come l’influencer, intende svolgere per noi l’ambizioso ruolo di riduttore di complessità, di semplificatore del messaggio contradditorio e ambiguo che ci arriva dai media. La sua postura è quella del mediatore social-democratico. Perché il suo suo scopo è fare vincere la Verità: anche a costo di demolire le irrisolvibili incertezze e i dubbi che la vita propone a ognuno di noi di fronte ai legami sociali nei quali è implicato. Il nuovo censore chiede al follower di prendere parte contro il Male di cui l’incertezza e il dubbio sono portatori come tratti distintivi e responsabili di questa epoca di passioni tristi. Come un venditore di sogni, il nuovo censore promette quella serenità, quella pace interiore, data dal sentirsi e farci sentire appartenenti ad una moltitudine di Buoni che lottano contro il Male.

Sotto l’inquisizione dei nuovi censori passano indifferentemente sia persone di destra e sia di sinistra, sia uomini che donne, i ricchi e anche i poveri. La nuova censura social – democraticamente non fa differenze: quindi è Giusta, così come lo era nel ‘600 l’Inquisizione che faceva semplicemente il suo lavoro per conto di Dio (quello della Chiesa dell’epoca).

Recentemente mi è capitato di intervistare Tiziano Butturini, figlio del fotografo Gian Butturini, artista della fotografia e autore di numerosi reportage su temi scottanti come la salute mentale e l’emarginazione sociale. Due fotografie che appaiono in un lavoro di Gian Butturini del 1969 dal titolo “London” hanno aperto la possibilità ai nuovi censori di attivarsi per costruire una campagna social sotto l’insegna (il logo) che definirei del “razzismo a prescindere”. Sulla costruzione del “caso Gian Butturini” rinvio al sito: www.gianbutturini.com e all’intervista a Tiziano Butturini.

L'”a prescindere” è uno strumento fondamentale per i nuovi censori perché permette di risolvere il dubbio, l’incertezza (la contraddizione e l’ambiguità) che segna ognuno singolarmente, aggregando sotto l’insegna della soluzione del dubbio un pubblico. La chiamata del nuovo censore attrae quella parte sana che non ci vuole indifferenti nel mondo, ma schierati per una causa “giusta”.

L'”a prescindere” nel caso di Gian Butturini e delle sue foto del 1969 è costruito nell’ignoranza – nel senso dell’ignorare, del far finta di nulla – non solo verso la figura del fotografo in questione (dove è recuperabile facilmente l’intenzione nel suo scattare le due foto), ma anche verso la Storia nella quale quegli scatti vengono fatti. La Storia tende ad appiattirsi, quando viene giudicata con l’occhio del Presente. E dico Presente con la p grande perché mi riferisco a coloro che intendono il proprio tempo presente come il tempo delle soluzioni definitive degli errori compiuti dall’Umanità (non dagli uomini).

Nella censura a Gian Butturini e alle sue foto la storia è diventata Storia. Un blocco informe che si solidifica mostrandosi alla vista del censore come una sequela di monumenti di volta in volta da abbattere o sotto i quali portare un mazzo di fiori ad memoriam a condizione che rispondano ai criteri di giudizio della religione del Presente. Il testo London è un monumento da abbattere perché in esso c’è qualcosa che Oggi non va bene. Ieri sì, evidentemente: Oggi no. Quindi cosa significa? Cos’è successo?

E’ successo che i tempi di oggi sono tempi bui, tempi dove il nuovo censore in versione social si erge a difensore di una morale senza tempo (religiosa) compiendo la solita violenza che da secoli conosciamo, quella in nome di una difesa identitaria/culturale “a prescindere” che spazza via la conoscenza della storia (quella degli uomini) e ripropone sulla scena la Storia, dove comodamente ci si può che disinteressare allo sforzo di comprendere oltre gli schemi che la propaganda – di destra e di sinistra – propone. Così facendo si mandano al rogo l’intelligenza e la sensibilità di chi osa mettere a nudo il Re, usando le armi che ha (in questo caso una macchina fotografica) che, quando si tratta di arte come per Butturini, non può che essere un tentativo di aprire la coscienza di ognuno all’incontro con l’altro differente da sé. L’opposto del razzismo.

Gli intellettuali forse dovrebbero – come insegna Ungaretti, il quale presenziava a tutti i processi di censura alle opere letterarie del suo tempo (a questo proposito leggete: “MalEdizioni” di Antonio Armano, BUR, 2014) – fare attenzione ad osservare e discutere di come oggi la censura non operi più nei tribunali, ma piuttosto nelle viscere di una social -democrazia che opera in nome della Verità del Presente (la solita morale religiosa) alla quale tutti dovremmo piegarci in quanto essa, mostrandosi senza un colore – o meglio comprendendoli tutti – è priva di un’idea di storia e di società: concetti che disturbano il nostro “Conducente” (e il duce che in esso è contenuto) indaffarato a semplificarci le cose, tra cui anche il pensare con la propria testa.

W London e W Gian Butturini.

Pubblicato da Paolo Patuelli

Sociologo Clinico, Counselor ad Orientamento Psicoanalitico

3 pensieri riguardo “I nuovi censori e Gian Butturini

  1. Grazie per quanto mi hai inviato. Trovo il tuo testo interessante e tale da meritare un rilievo ancora più diffuso Se poi dopo la tua diffusione, tu volessi anche inserirlo nel slto web di *sociologia clinica*, è sufficiente che tu faccia un segnale a Gianluca Piscitelli. A me farebbe piacere dare il giusto riconoscimento al tuo lavoro. Cordialmente Everardo M. *—* *Everardo Minardi* Faenza/Faience facebook, twitter,

    Il giorno gio 24 set 2020 alle ore 13:47 Dott. Paolo Patuelli – Sociologo

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  2. William Hazlitt (1788-1830) in Characters of Shakespearar’s Plays (1817) tratteggiando il dramma Coriolano, da lui definito “autentico emporio di temi politici”, scrive: “Preferiamo essere gli oppressori che gli oppressi”, riferendosi ovviamente al comportamento degli esseri umani.
    A un suo recensore critico, che lo incalzava per questa e altre frasi con significato simile, dicendo: “Proviamo forse più piacere nel leggere di una bestia predatrice che imperversa, che non dello rufolo del pastore in mezzo ai monti?” Hazlitt rispose: “No, ma nel leggere della bestia predatrice proviamo senz’altro piacere, in virtù proprio di quel senso di forza scisso dal senso di bene, che ci riconcilia con l’incedere dei conquistatori e possenti cacciatori dell’umanità, i quali arrivano a far tacere lo zufolo del pastore in mezzo ai monti e spazzano via il gregge che lo ascolta”.
    Hazlitt era un filo giacobino e bonapartista, e quando scrisse il suo capolavoro già si pone, però, fra gli “sconfitti della Storia”, sia per il tempo, sia per il luogo del suo operare di letterato, di certo apprezzabile ancor oggi, ma che i suoi critici, appartenenti all’establishment monarchico di allora, avrebbero voluto punire addirittura con la deportazione in Australia.
    Perché Hazlitt, che era un radicale, quindi appartenente alla cosiddetta “Sinistra”, era così criticato per affermazioni che certo oggi stonerebbero se espresse dalla Destra più becera? Perché svelava quello che occorreva tenere celato: la grande rappresentazione politico religiosa dei regni restaurati dopo la Rivoluzione e Napoleone. L’alleanza del Trono e dell’Altare che in modi e forme differenti, non trattabili qui, stava trasformando con la Restaurazione la Civiltà occidentale in un enorme ordigno generante la sottomissione delle masse, che erano scappate di mano con la Rivoluzione francese e col Grande Corso.
    Fino al punto che oggi alla frase di Hazlitt “Preferiamo essere gli oppressori che gli oppressi” molti appongono in finale un punto interrogativo. Se non addirittura si fanno cullare la mente dalle note e dai versi della Guerra di Piero di Fabrizio De André.
    Se è ben certo che nelle civiltà arcaiche, di cui parla anche la Bibbia, (Es 20, 5; Lv 26, 39; e Is 14, 21), “la colpa dei padri ricade sui figli”, la Restaurazione ha progressivamente portato al potere in Europa il Senso di Colpa creando delle Teocrazie in cui, come in tutte epoche e i luoghi in cui si sono manifestate, hanno fatto sì che i singoli individui siano costretti a sentirsi responsabili del benessere generale, anche se il loro influsso sul potere decisionale e sull’azione effettiva risulta essere minima o pressoché nulla.
    Nelle Teocrazie ovviamente il Dio di cui si parla (famose furono quelle degli Inca e degli Aztechi) non è necessariamente il Dio Cristiano, ma può essere anche una costruzione ideologica come è stata il Marxismo-leninismo e lo Stalinismo, o anche (e lo chiamerò così per opposizione al termine in uso) l’Americanismo.
    Il gregge dell’umanità occidentale ben pasciuta e ordinata, anche dai propri sensi di colpa, è oggi prima di tutto troppo stordita dagli zufoli del pastore che si è alleato col cacciatore, di cui diceva Hazlitt.
    I nuovi cacciatori non sono più lupi feroci o orsi, ma hanno i volti e le sembianze delle stesse pecore e come le pecore sembrano inermi. I nuovi capi hanno ben capito che occorre smorzare l’arroganza che li spinge a primeggiare, di cui invece sono intrisi, rendendosi fintamente umili, apparentemente al servizio del branco, ma soprattutto costringendo il branco a sentirsi sempre più colpevole degli errori e delle scelte che loro in quanto capi branco compiono.
    Nel 2020, impastoiati dal chiedersi se sia o no Politically Correct che Montanelli avesse una madamina abissina che gli scaldasse il letto nel 1936, gli italiani non sono riusciti ancora a chiedersi perché le donne in Italia abbiano avuto accesso al Voto solo nel 1946. Nello stesso anno di: Camerun, Corea del Nord, Gibuti, Guatemala, Liberia, Macedonia, Trinidad e Tobago, Venezuela e Vietnam

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