Il povero operatore laico

La laicità è sempre stato un tema sottovalutato nel lavoro sociale.

Nello Stato italiano il principio della laicità dal 1929, data della sottoscrizione da parte dell’Italia fascista dei Patti Lateranensi con il Vaticano, è stato soppiantato dal principio concordatario. Questo dato lo afferma la giurisprudenza e per il comune cittadino basta riferirsi a quanto presente nel Dizionario Treccani, sempre preciso nelle sue definizioni, per capire di cosa si sta parlando. La laicità dello Stato è “blindata” in un concordato che raramente viene preso in mano e modificato, seppure sarebbe roba che neanche necessita di passare al vaglio dell’iter previsto per le modifiche della nostra bella Costituzione.

Che cosa c’entra il lavoro sociale con la laicità? E perché tirare fuori la questione del rapporto tra Stato e Chiesa su questo tema?

Nel lavoro sociale, il laico ed il cattolico sono schierati nello stesso campo e si trovano sempre più a confrontarsi nella pratica. E nella pratica il loro operato pare assomigliarsi sempre di più, a prescindere dalla volontà dei singoli che sia così.

In un articolo uscito su Bologna Today del 15 ottobre dal titolo: “Gli operatori sociali? A volte guadagnano quanto le persone che aiutano”, la Sig.ra Maura Fabbri, storica operatrice dello Sportello della Caritas bolognese, racconta di quanto nel tempo si sia modificato il lavoro degli operatori dello sportello, ai quali oggi “… è richiesta una competenza sempre più ampia e trasversale, visto che i problemi sono sempre più complessi “. A questa richiesta di maggiore competenza si aggiunge la richiesta di: “…conoscere meglio la normativa e la rete di servizi sul territorio: le persone sono stanche di essere rimpallate da uno sportello a un altro, hanno bisogno di un accompagnamento più costante”.

Gli “operatori sociali” citati nel titolo dell’articolo non sono evidentemente quelli dello Sportello Caritas, ma “gli altri”: quelli che non sono lì con la signora Maura al lavoro per fornire un servizio pubblico di contrasto alla povertà e al disagio del cittadino residente e del bisognoso non residente.

La Caritas, ente religioso, fa quello che l’operatore dello Stato non riesce a fare. E questo è un dato che potremmo definire oggettivo. Da tempo è così: basta avere lavorato un po’ nel settore e basta chiedere agli “utenti”: la Caritas funziona. In termini di efficacia ed efficienza è vero o almeno verosimile che le cose stiano così.

La cosa interessante è che tutto ciò non è preso in considerazione come qualcosa di problematico, segno di una inadempienza dello Stato di fronte ai problemi complessi da affrontare per garantire pari diritti (come vuole la nostra Costituzione) per tutti i cittadini in condizione di povertà o come viene chiamata oggi: marginalità, fragilità e vulnerabilità. La Chiesa fa quello che ha sempre dichiarato di voler fare: aiutare i poveri. Lo fa dentro il territorio di uno Stato che accende la laicità ad intermittenza, a seconda delle necessità. E ora la necessità (ragioni di ordine superiore?) prevede che gli operatori laici degli sportelli con la “s” minuscola siano quegli operatori: “… che guadagnano quanto le persone che aiutano”.

Amen.

Pubblicato da Paolo Patuelli

Sociologo Clinico, Counselor ad Orientamento Psicoanalitico

3 pensieri riguardo “Il povero operatore laico

  1. Lo Stato nelle sue articolazioni non fa e da spazio alle organizzazioni caritatevoli perché suddette organizzazioni sono ben presenti nel panorama dei servizi. Non fa perché così c’è un equilibrio politico partitico fra assistenza laica e assistenza religiosa. Anche Guareschi fa costruire a Peppone la Casa del popolo per gli adulti e a Don Camillo la città Giardino (Asilo infantile) per i bambini e per gli adulti, e tutte e due sono inaugurate dal Vescovo. ….. Bei tempi …..

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