Topologia della morale

“La paura pervasiva dell’ignoto porta alla dicotomia ultimativa: “meglio sudditi che morti”. E porta a vite non sovrane, volontariamente sottomesse al buon Leviatano.”

L’incipit di questo articolo è estratto dal 54° Rapporto Censis e si trova esattamente a pag.3 del fascicolo: “La società italiana al 2020”. La prima parte del fascicolo si intitola: “L’anno della paura nera”. Il o i redattori di questo testo corredato di tante tabelline, forniscono alcune linee interpretative sull’atteggiamento degli italiani alle prese con la paura della pandemia. Gli italiani interpellati esprimono la loro opinione verso quanto gli viene proposto da chi li governa per superare questa fase.

Si tratta dunque di opinioni, cioè di concetti che disegnano soggettivamente percorsi interpretativi nell’incertezza che sempre ci propone la quotidianità. La differenza rispetto ai soliti report è data dal fatto che l’incertezza in questa fase è a livelli elevatissimi e tocca ognuno di noi lasciando segni nel corpo e nella psiche. Il 2020 è dunque diverso, anche per chi lavora per rilevare la doxa (che, come dice il dizionario, nella filosofia greca classica è il grado di conoscenza inferiore e dialetticamente contrapposto allo stadio della verità assoluta). Le opinioni raccolte dal Censis nell’anno pandemico destano in me, come credo in tanti altri che hanno avuto modo di interessarsene, un’attenzione differente: diciamo che l’opinione dei nostri concittadini ci riguarda un po’ più di prima. Soprattutto quelle opinioni che toccano il tema del legame sociale. Perché vogliamo capire meglio qual è il livello di sensibilità verso l’altro, la rabbia e la paura che attraversano le persone che, per ragioni di carta d’identità, condividono con noi una condizione comune.

Ci sono dati sconfortanti che sono stati sottolineati dai media, come ad es. la percentuale elevata di coloro che vorrebbero introdurre la pena di morte nel nostro Paese (il 43,7% del totale) e l’incertezza elevata per i lavoratori delle piccole aziende (sino a 9 dipendenti) di mantenere il proprio posto di lavoro in questa fase (il 53,7% ritiene che potrebbe perdere il lavoro). Poi i 4.593.400 concittadini in povertà assoluta (ma è un dato destinato a crescere visto che è datato 2019) a cui fanno da contraltare i 36 italiani miliardari.

Insomma il disegno è a tinte grigie. Non poteva essere altrimenti.

Il Censis non si occupa di produrre proposte: di quelle dovrebbe occuparsene la politica, l’economia, ecc… Qualche suggerimento però lo da, ma non esplicitamente. Ad es. nelle “Considerazioni generali” chi ha redatto il report suggerisce di rispondere all’emergenza presente dotandosi: “di un progetto collettivo che spazzi via la soggettività egoistica e proterva in cui per decenni abbiamo creduto, a cui ci siamo affidati con sempre minore convinzione e alla quale, senza alternative, alla fine ci siamo dovuti consegnare prigionieri”.

E’ un enunciato dai toni evocativi che rimanda ad una entità fantasmatica nominata come ” soggettività egoistica e proterva”, qualcosa priva di una identità precisa e di una collocazione operativa che potremmo interpellare. Si tratta quindi di qualcosa che ci interroga. Chi o cos’è quella cosa che deve essere spazzata via? E chi può spazzarla via? Il governo italiano? I lavoratori? I cittadini in piazza? Il Papa e la Chiesa con un esorcismo? I 36 miliardari italiani?

Il mio parere è che evidentemente per il Censis (che non è nemmeno il peggiore in Italia tra gli enti che fanno il mestiere dei raccoglitori di opinioni) dobbiamo fare tutti penitenza: tutti “soggettivamente” egoisti e protervi. E’ meglio metterla così, si fa prima e si risolve in poche righe. Perché non esiste qui in Italia qualcuno (un soggetto collettivo) che si assuma il peso e la responsabilità di occuparsi dell’oggettiva protervia dei ricchi fatta a sistema. Meglio, “durkheimianamente”, ricorrere alla ricostruzione improbabilissima ma evocativa nelle coscienze, di una morale che unisca la società di un Paese distrutto e con il fiato corto.

Concordo con Slavoj Zizek che, qualche anno fa (Zizek, 2013), riferendosi alla crisi finanziaria di lunga durata innescatasi nel 2007 disse in una intervista:

Quando viviamo questi momenti critici, non mi piace la moralizzazione, che trasforma un processo sociale in responsabilità personale.

Allora, attenti alla morale che avanza: in suo nome potrebbe nascondersi l’ennesima fregatura sostenuta da chi comanda affinché nulla cambi.

Pubblicato da Paolo Patuelli

Sociologo Clinico, Counselor ad Orientamento Psicoanalitico

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